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La Cina inibisce parzialmente l'utilizzo di Google

24/03/2010
- A cura di
Zane.
Internet - La mossa di Google tesa ad evitare la censura non è piaciuta al partito unico di Pechino. A dichiarazioni cariche di risentimento seguono i fatti: gli ISP sono ora costretti ad applicare alcune restrizioni al funzionamento di Google.cn e Google.com.hk. Frattanto, si parla di filtri anche in Australia: "un pericolo precedente", commenta il big delle ricerche.

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Il Partito Comunista Cinese non ha tardato ad esprimere il proprio dissenso nei confronti della scelta liberale intrapresa lunedì da Google.

Secondo quanto riportato da Reuters nel corso della mattinata di ieri, un portavoce del governo ha dichiarato: "Google ha violato le promesse sottoscritte al momento di entrare sul mercato cinese. È ingiusto che l'azienda interrompa la censura dei risultati. Ci opponiamo alla strumentalizzazione politica, ed esprimiamo insoddisfazione e risentimento nei confronti delle immotivate accuse e pratiche di Google Inc.".

A questo punto era solo questione di tempo prima che il partito unico decidesse di implementare una contro-mossa.

E così è stato: nel corso del pomeriggio, la conferma è arrivata dalle pagine di The New York Times: il governo ha esercitato pressioni sui provider nazionali affinché rendessero inaccessibili a livello di carrier taluni risultati ritornati da Google.com.hk, ovvero il sito locale di Hong Kong ora utilizzato come porto franco per erogare i contenuti non censurati.

Il blocco, riporta NYT, si manifesta in modi differenti. Mentre taluni cittadini cinesi possono inoltrare le ricerche e visualizzare il risultati ritornati senza però poi poter seguire i collegamenti indicati dal motore di ricerca, altre ricerche sono direttamente inibite alla fonte.

Alcuni degli argomenti filtrati, riporta BBC, sono fatti storici che gettano cattiva luce sul Partito: fra questi, spiccano il massacro di piazza Tiananmen del 1989, l'esilio del Dalai Lama e il movimento spirituale Falun Gong.

Pesanti le ripercussioni indirette per le industrie che avevano investito nella collaborazione con Google: il principale operatore mobile nazionale, China Mobile, potrebbe essere in procinto di annullare l'accordo di utilizzare Google come home page sui dispositivi venduti. Il numero due del settore, China Unicom, ha invece rimandato (o annullato, a seconda delle fonti) un accordo per la commercializzazione di un dispositivo basato su Android. Il sito Tom.com, apparentemente uno dei portali più importanti del Paese, ha invece già interrotto l'utilizzo dei servizi erogati da Google per la ricerca.

La replica formale di Google non è ancora arrivata, e nemmeno la pagina che riporta lo stato di accessibilità dei servizi è stata aggiornata per tenere conto delle variazioni. La possibilità che l'azienda possa ora chiudere definitivamente l'ufficio cinese (o, quantomeno, ridurne fortemente l'organico) non è da escludere: il gruppo aveva infatti annunciato lunedì l'intenzione di mantenere un team operativo nel Paese solamente a patto che il governo non decidesse di inibire l'accesso al servizio.

Si apre il fronte australiano

Frattanto, Google si trova a dover discutere di censure anche nella terra dei canguri. Il governo australiano ha infatti rilasciato i risultati di uno studio teso a valutare la possibilità di imporre una serie di filtri nell'accesso ad Internet.

Google, dal canto suo ha riposto che questa scelta costituirebbe un precedente importante, al quale i governi di "altri Paesi" potrebbero riferirsi per giustificare scelte analoghe.

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