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![]() EMI Group, una delle quattro Grandi Sorelle della musica internazionale, non sembra particolarmente soddisfatta del ritorno degli investimenti in RIAA, IFPI e le altre società che rappresentano - o dovrebbero farlo - gli interessi delle major negli States e nel mondo. Per tale motivo, in un momento di ristrettezze economiche come quello attuale con la crisi perenne delle vendite che incombe sul futuro dell'etichetta, occorre razionalizzare le spese inutili cominciando proprio dalla rappresentanza suddetta. Parimenti a Universal, Warner e Sony BMG, EMI versa ogni anno nelle casse delle associazioni la ragguardevole cifra di circa 132 milioni di dollari, e molti di questi fondi vengono impiegati per l'azione di contrasto legale alla pirateria fuori e dentro Rete, avendo finora prodotto - per quanto riguarda RIAA in particolare - decine di migliaia di cause legali e casi mediatici di grande richiamo come quello di Jammie Thomas. Ma i risultati di tale strategia persecutoria si misurano anche nel diffuso scontento da parte dei consumatori di musica, sempre meno propensi ad acquistare i loro contenuti preferiti per i canali tradizionali e niente affatto intimoriti, nella stragrande maggioranza, dalla voce grossa con cui i rappresentanti dell'industria promettono ciclicamente sfracelli tra chi scarica abusivamente Rete. In poche parole, finora gli sforzi e i soldi spesi da RIAA e compagni di merende non sono serviti assolutamente a nulla, tranne che a peggiorare una situazione già preoccupante per l'industria del disco. EMI, recentemente acquistata dal finanziere Guy Hands per mezzo della società di investimenti Terra Firma, sembra essersi finalmente accorta, prima tra le Quattro Sorelle, della necessità di un drastico cambiamento di rotta per garantirsi la sopravvivenza tra i marosi delle illimitate possibilità di copia, condivisione e download aperte dall'era digitale. Dopo l'abbandono delle inutili DRM, potrebbe essere venuto il momento per RIAA e le altre società Segnala ad un amico |
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