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P2P italiano, Peppermint & sodali battuti in tribunale

24/07/2007
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Archivio - Continua a tenere banco il caso estivo più caldo Rete italiana: l'etichetta tedesca prova a rilanciare inviando una nuova ondata di lettere prezzolate, ma il Tribunale di Roma oppone il primo serio ostacolo alla strategia legale di contrasto a mezzo "pizzo" degli utenti nostrani del P2P.

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Il pezzo che stai leggendo è stato pubblicato oltre un anno fa. AvvisoLa trattazione seguente è piuttosto datata. Sebbene questo non implichi automaticamente che quanto descritto abbia perso di validità, non è da escludere che la situazione si sia evoluta nel frattempo. Raccomandiamo quantomeno di proseguire la lettura contestualizzando il tutto nel periodo in cui è stato proposto.

È sicuramente l'etichetta discografica indipendente europea più odiata in Italia, ma questo non ha certo fermato la oramai famigerata Peppermint Jam, con la consulenza del "premiato" studio legale M&R di Bolzano e le raccolte di IP illecite - che tali sono state considerate, come andremo poi a vedere - degli script kiddie svizzeri di Logistep AG, nel suo perseverare sulla via delle richieste di pizzo a mezzo raccomandata, con l'aggiunta ulteriore da parte del suddetto studio di un "cinquantone" di euro tanto per gradire ma finendo con i denti rotti contro la nuova decisione del Tribunale di Roma, che ha smontato il tutto come schedatura di utenti non autorizzata.

Lo scenario è quello della lotta senza respiro al file sharing non autorizzato in questa calda estate telematica, condotta per mezzo della raccolta degli Indirizzi Internet degli utenti condivisori da parte di Logistep AG, e il successivo invio delle raccomandate di accomodamento da parte dell'avvocato "8" (com'è stato soprannominato il rappresentante dello studio bolzanese) per conto di Peppermint ma non solo (rif. Italia, il file sharing è sotto assedio).

Come già scritto in passato, l'orizzonte ha un colorito piuttosto plumbeo nonostante l'afa, e nuove cause e persecuzioni stanno con ogni probabilità per abbattersi sul Bel Paese. A conferma di ciò, alcuni giorni or sono è emersa sui forum l'evidenza di una nuova tornata di raccomandate: il mandante è sempre Peppermint, l'esecutore il solito studio legale di "Capitan 8", i piccioli richiesti i consueti 330 euro per evitare denuncie in tribunale.

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Richiesta che, come già evidenziato dalle associazioni dei consumatori, ha una legittimità piuttosto dubbia, la cui accettazione rappresenterebbe una tacita ammissione di colpa e soprattutto, stanti le attuali norme in materia di diritto d'autore, non salverebbe dal possibile iter della causa penale, essendo la suddetta in quanto tale perseguibile d'ufficio dal pubblico ministero senza la necessità di una denuncia specifica.

La soluzione migliore per chi fosse malauguratamente incappato nella missiva è come sempre quella di rivolgersi alle associazioni dei consumatori come Altroconsumo, che ha già dichiarato di voler mettere a disposizione una consulenza legale gratuita per quanti ne facessero domanda.

A riguardo delle nuove lettere di 8/Peppermint ha poi sollevato una questione interessante l'avvocato/blogger Guido Scorza: "Ho sempre avuto i sospetto che dietro all'iniziativa Peppermint & soci più che la ricerca di un indennizzo per il preteso pregiudizio sofferto vi fosse il desiderio di arrotondare gli utili di un'etichetta discografica con poche ambizioni o, almeno, scarse probabilità di successo", scrive sul suo weblog il legale, in riferimento al fatto che un lettore aveva segnalato di aver ricevuto una seconda missiva, con il prezzo da pagare per sistemare la questione lievitato di ulteriori 50 Euro.

"Il risarcimento del danno è una cosa seria e risponde a parametri e criteri oggettivi. Un danno stimato ieri in 330 euro non può lievitare nello spazio di qualche settimana a 380 senza far nascere almeno il sospetto che si sia davanti ad una poco elegante operazione di mercimonio dei diritti e degli interessi degli utenti che nulla ha a che fare con la tutela dei diritti di proprietà intellettuale", scrive ancora Scorza, che parla del "lato oscuro del diritto d'autore" e mette on-line una copia in formato PDF della suddetta missiva.

I legulei al guinzaglio e gli imprenditori musicali che li assoldano per sparare senza salve razzolano male e vogliono solo far cassa, suggerisce dunque l'esperto. E inaspettatamente, l'illegittimità dell'azione di Capitan 8 e la cricca che lo sfama è stata, finalmente, vidimata dal pronunciamento del Tribunale di Roma: "Sezione IX civile ha accolto le istanze proposte dall'Autorità Garante per la protezione dei dati personali in due controversie riguardanti il rapporto tra il diritto d'autore e la disciplina sulla privacy", si può leggere nel comunicato stampa di Altroconsumo che da notizia della decisione del tribunale.

"Con due ordinanze - continua il comunicato - i giudici hanno rigettato i ricorsi che le società Peppermint Jam Records GmbH e Techland SP. Z o.o. avevano proposto nei riguardi di Telecom Italia S.p.A. e Wind Telecomunicazioni S.p.A., con le quali chiedevano di ottenere i nomi di numerosi utenti di reti P2P". Si tratta dunque di uno stop importante ed autorevole alla strategia legale in stile americano di Peppermint e compagni di merende, tanto che Guido Scorza accoglie la notizia con la speranza di poter finalmente gridare "Giustizia è fatta".

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Anche se le cause pendenti contro il file sharing sono ancora tante, e altrettante come abbiamo visto minacciano di aprirsi, il senso di una vittoria importante si respira anche nella nota del senatore pro-P2P Fiorello Cortiana: "Il pronunciamento della magistratura italiana - scrive Cortiana - che inibisce Peppermint e chiunque altro dall'attuare il monitoraggio in rete è importante perché segna un principio giurisprudenziale: la rete di Internet non è la terra di nessuno dove ognuno si fa giustizia da sé, anche in rete valgono i diritti di cittadinanza e anche in rete tocca alla magistratura e alle forze dell'ordine mettere in atto inchieste nel rispetto della legge".

"Sarebbe stupido dire che ha vinto la pirateria - continua il senatore - piuttosto hanno vinto il diritto e le garanzie previste dalla legge per tutti i cittadini, famosi o meno che siano. Ora non occorre esitare oltre per cambiare la'Legge Urbani affinché i modelli di business prendano corpo nel rispetto della natura di condivisione della rete come impresa cognitiva collettiva".

Sarebbe stupido, ma qualcuno lo fa lo stesso: in seguito alla decisione del tribunale di Roma, un comunicato stampa della Federazione Industria Musicale Italiana (FIMI) piange la solita miseria a cui le organizzazioni del copyright italiane ci hanno abituato, lamentando i rischi di "morte immediata" per le etichette indie nostrane a causa della "diffusione illecita nelle reti p2p". Come al solito, è facile a tal proposito prevedere azioni di lobbismo sfrenato condotte sottobanco per stroncare sul nascere la spinta riformatrice di uno sparuto gruppo di parlamentari italiani.

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