Queste sono cose che mi piacerebbe leggere più spesso: una rispettata e seguita pubblicazione finanziaria che definisce le tecnologie di protezione alla stessa stregua di quanto il sottoscritto va dicendo da un paio d'anni a questa parte, ovvero che le DRM sono un fallimento totale o, nella migliore delle ipotesi, una angheria ingiusta per gli acquirenti e una misura inutile per chi è aduso a scaricare crack e DivX sul mulo.
Il prestigioso settimanale Economist, fondato nel remoto settembre del 1843, ha alcuni giorni or sono pubblicato un editoriale titolato La criminalizzazione del consumatore. Titolo che ben esemplifica il contenuto del pezzo: dopo aver abusato per anni delle tecnologie anticopia, l'industria dell'intrattenimento sta molto lentamente acquisendo consapevolezza su come stiano realmente le cose là fuori.
"L'industria del cinema - si legge nell'articolo - che oggi dipende dalle vendite dei DVD tanto quanto dal responso del box-office, ancora sembra pensare che rendere la vita difficile ai propri consumatori sia una ricetta per il successo".
"Dopo essersi sparata nei piedi nello stesso modo per molto a lungo", continua poi l'editoriale, "l'industria musicale sta ora abbandonando le DRM sui CD-Audio". Il settimanale si riferisce ovviamente alla storica decisione di EMI di inizio anno, che ha nei fatti sentenziato la totale inutilità delle suddette tecnologie anticopia nel fermare l'emorragia di contenuti sui canali non ufficiali (rif. Si estingue il DRM dei CD-Audio).
Viene poi citato il caso di store multimediali come il fiorente eMusic, che hanno da tempo abbandonato astruse e inefficaci protezioni per vendere i contenuti in formato aperto, in modo da offrire quanta più libertà di fruizione possibile all'utente/acquirente. E viene ovviamente citato il caso dell'accordo tra EMI e iTunes per la distribuzione di MP3 DRM-less, anche se con un sovrapprezzo di 30 eurocent - in pratica il costo della libertà secondo Jobs&sodali. "Il costo delle DRM" avrebbe dichiarato la major "non è proporzionato ai risultati".
"In ritardo - continua l'Economist - i dirigenti delle etichette discografiche stanno cominciando a rendersi conto del fatto che le DRM semplicemente non funzionano. Si suppone che servano a fermare la copia non autorizzata, ma nessuna protezione anti-copia è stata finora escogitata che non possa essere facilmente battuta".
"Tutto quello che fanno - le protezioni DRM ndr - è rendere difficile la vita ai consumatori paganti, avendo nel mentre un effetto minimo o addirittura nullo sugli impianti delle contraffazione che sputano fuori le copie piratate". Come a dire parole sante, tanto più significative se si considera la loro fonte, una pubblicazione finanziaria specializzata che difficilmente può essere tacciata di simpatizzare per il P2P o i professionisti dei masterizzatori sempre attivi.
Quello che rimane ora da stabilire è se le grandi sorelle della musica internazionale si renderanno davvero conto in toto della assoluta follia delle loro scelte nella distribuzione dei contenuti on-line. E soprattutto, quanto ci metterà Hollywood e l'industria cinematografica, conglomerato economico evidentemente un po' tardo a cogliere la semplice evidenza dei fatti, ad arrivare all'unica conclusione possibile: usare le DRM fa esattamente il gioco dei pirati e di chi con i film ci commercia a sbafo, piuttosto che scaricarsi un DivX per passare una serata davanti al monitor.
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